“Ho un ricordo che mi accompagna con calore dal settembre 1996. Era la prima volta che vivevo in Cina, e stavo passeggiando per un vicolo di un quartiere centrale di Pechino, uno hutong. Un anziano camminava placido sul marciapiede, sfruttando le mattonelle dell’asfalto per scrivere poesie, con un pennello enorme, grande come una scopa, e un secchio pieno d’acqua anziché d’inchiostro. Ad ogni passo, si fermava, intingeva il pennello nel secchio, vergava un carattere cinese all’interno della mattonella per terra. Una passeggiata serale diventava così l’occasione per ponderare e scrivere una poesia” (Sergio Basso).
In Italia, le cronache quotidiane abbondano di insofferenza verso le comunità cinesi: gli immigranti cinesi sono percepiti come animali da laboratorio sartoriale per pret-à-porter.
Nel frattempo, la loro madrepatria è assurta a leader economico mondiale, scalzando gli Stati Uniti.
C’è forse qualcosa di troppo superficiale nell’immagine che abbiamo delle Chinatown italiane; una maniera di iniziare a rendere loro una giusta dimensione è scoprirne la cultura di partenza.
Sulla scorta di questo ricordo, abbiamo pensato alla poesia come chiave per far entrare il pubblico italiano nell’immaginario cinese.
Quali poesie i cinesi contemporanei si portano nel cuore? Quali parole si ripetono in rima, di generazione in generazione?
È con questa curiosità che nasce lo spettacolo “Ti ho sentito cantare, come in sogno”.
Lo spettacolo sarà costruito su un ‘tessuto’ di poesie che, dallo Shijing (il Libro delle Odi, il “Classico della Poesia” del 1000 a.c.), giungerà fino alla modernità.
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